Gesti per comunicare nella sindrome di Down

Già da diversi anni, molti lavori hanno evidenziato come la modalità non verbale risulti un mezzo di comunicazione efficace per questa popolazione di bambini, per un lungo periodo del loro sviluppo (Sedey, Rosin, e Miller, 1991).

Le ricerche sullo sviluppo tipico hanno ormai dimostrato l’importanza dei gesti nelle prime fasi dell’acquisizione del linguaggio, sottolineando come nel corso dello sviluppo emergano numerosi punti di contatto tra gesti e parole. Primo tra tutti l’indicazione, che riveste un’importanza fondamentale all’interno delle routines di attenzione condivisa alla base dello sviluppo della comunicazione e che, infatti, risulta il più correlato allo sviluppo linguistico successivo (Bates, Benigni, Bretherton, Carnaioni e Volterra, 1979; Camaioni, Caselli, Longobardi e Volterra, 1991; Desrochers, Morissette e Ricard, 1995; Pizzuto e Capobianco, 2005).

Molti dei primi studi sulla relazione tra gesti e parole nei bambini con SD si sono concentrati proprio su questo gesto. Franco e Wishart (1995) mostrano che bambini con SD, in età prescolare, utilizzano in maniera efficace l’indicazione sia durante l’interazione con le loro madri che con altri bambini. Secondo Mundy e colleghi (1989), questi bambini utilizzano frequentemente l’indicazione con funzione dichiarativa, per condividere l’attenzione con l’adulto, ma non con funzione richiestiva (Mundy, Sigman, Kasari e Yirmiya, 1989).

Anche Caselli e collaboratori (1997) rilevano un’alta frequenza di gesti deittici nei tre bambini da loro osservati durante l’interazione spontanea con la madre (Caselli, Longobardi, Pisaneschi, 1997). In particolare nei due bambini più grandi (età cronologica di 44 e 56 mesi) il vantaggio riscontrato nella modalità gestuale è dovuto proprio all’uso particolarmente frequente dell’indicazione.

L’altra categoria di gesti ampiamente studiati nei bambini con ST e solo recentemente osservati anche in bambini con SD, sono quelli rappresentativi. A differenza dei gesti deittici, questi gesti hanno un referente specifico, che non varia con il contesto. Alcuni di questi gesti sono vere e proprie routines sociali (gesti convenzionali), culturalmente definite come muovere la mano aperta per ciao, oppure allargare le mani con i palmi rivolti verso l’alto per dire non c’è più.

Altri gesti rappresentativi derivano dall’azione del bambino sugli oggetti, azione che viene appunto rappresentata nel gesto: ad esempio aprire e chiudere la bocca sta per mangiare, portare la mano chiusa all’orecchio sta per telefono (Iverson, Capirci, Caselli, 1994). Tali gesti (iconici o referenziali) forniscono una sorta di etichetta all’oggetto o all’azione. In un primo momento, il bambino produce l’azione sull’oggetto dimostrando di averne colto la funzione specifica (il cucchiaio serve per mangiare), in seguito impara a mimare l’azione anche senza l’oggetto con una funzione comunicativa (porta la mano alla bocca per chiedere la pappa).

Recentemente Capirci e colleghi (2005) hanno riscontrato, nei tre bambini da loro osservati, una precisa progressione evolutiva che parte dall’azione sull’oggetto, passa attraverso il gesto rappresentativo e arriva infine alla parola (Capirci, Contaldo, Caselli, Volterra, 2005).

La stretta relazione tra gesti e parole, per cui il linguaggio stesso è ormai considerato un sistema integrato multimodale in cui concetti linguistici e immagini visive e cinetiche vengono tra loro combinate (Kendon, 2004; McNeill, 2005), ha acquisito prove ulteriori dagli studi di Rizzolatti sui neuroni specchio (Gallese, Fadiga, Fogassi e Rizzolatti, 1996; Rizzolatti e Sinigaglia, 2006; Iacoboni, 2008).

Questi studi dimostrano che mano e bocca condividono, a livello neuronale, una stessa popolazione di neuroni motori, i neuroni specchio, i quali si attivano sia in risposta all’osservazione che all’esecuzione di azioni manuali dirette ad uno scopo e di movimenti della bocca. Pertanto come afferma Capirci «Gesti e parole fanno riferimento ad uno spazio concettuale comune e all’attivazione di programmi motori mano-bocca associati con specifici oggetti e azioni» (Capirci, 2009, pag. 58).

Negli ultimi anni lo studio di questi gesti nei bambini con SD ha prodotto risultati interessanti, sebbene non sempre concordi. Alcuni autori hanno, infatti, riscontrato in questa popolazione di bambini un repertorio gestuale più ampio rispetto a bambini con ST (Singer Harris, Bellugi, Bates, Jones e Rossen, 1997; Caselli, Marchetti e Vicari, 1994). Attraverso il questionario PVB (Caselli e Casadio, 1995), Caselli e colleghi hanno analizzato il repertorio gestuale di 40 bambini con SD con un’età cronologica media di 28 mesi, confrontandolo con quello di bambini con ST appaiati sulla base del numero di parole comprese. Gli autori hanno rilevato che i bambini con SD, che comprendevano più di 100 parole, producevano un numero maggiore di azioni e gesti, rispetto a bambini normali della stessa età (Caselli et al., 1998). Questi studi sembrerebbero suggerire, per questi bambini, una maggiore facilità di espressione attraverso la modalità gestuale.

Le ricerche descritte, che hanno utilizzato uno strumento indiretto come il questionario PVB, hanno però incluso oltre ai gesti rappresentativi anche le azioni con gli oggetti e azioni di gioco simbolico. Lavori successivi hanno invece indagato esclusivamente la presenza di gesti rappresentativi. Iverson, Longobardi e Caselli (2003) hanno analizzato la produzione spontanea di gesti in 5 bambini con SD (età mentale media di 22 mesi e età linguistica media di 18 mesi) durante l’interazione con le loro madri, confrontandola con quella di 5 bambini con ST appaiati per livello di sviluppo linguistico al PVB e dimensione del vocabolario osservato. È importante notare che questo studio, anziché in funzione dell’età mentale o del repertorio in comprensione come gli studi citati, ha confrontato i bambini con SD e con ST sulla base della produzione linguistica, proprio in ragione della forte relazione tra gesti e parole nello sviluppo tipico. I risultati mostrano che i bambini con SD possiedono, rispetto ai bambini di controllo, un repertorio più ridotto di gesti rappresentativi che però utilizzano con una frequenza analoga ai bambini con ST, producono inoltre un numero simile di gesti e parole e di combinazioni gesto-parola. Le combinazioni però risultano qualitativamente diverse nei due gruppi: i bambini con SD, infatti, producono soprattutto combinazioni equivalenti, in cui gesto e parola esprimono la stessa informazione, mentre risultano poco numerose le combinazioni complementari, in cui un gesto di indicazione specifica la parola. Infine risultano assenti quelle supplementari, in cui si esprimono due significati diversi. Nel gruppo dei bambini con ST invece sono presenti tutti i tipi di combinazioni e le più frequenti risultano essere quelle complementari. Poiché le combinazioni equivalenti sono caratteristiche del periodo olofrastico, mentre quelle complementari sembrano anticipare il passaggio alle combinazioni di due parole (Capirci et al., 1996; Capobianco, 2006), questi risultati suggeriscono che nei bambini con SD questo passaggio risulti rallentato e che il ricorso ai gesti perduri per un più lungo periodo.

Questo dato sembra confermato anche dallo studio longitudinale di Zampini e D’Odorico (2004), in cui le autrici hanno osservato 15 bambini con SD in due momenti successivi a distanza di 6 mesi (età media alla prima osservazione di 48,2 mesi), durante una seduta di gioco con l’adulto. I risultati dell’osservazione e del PVB sottolineano come, a differenza di ciò che accade nello sviluppo tipico, i bambini con SD continuino ad utilizzare i gesti anche all’aumentare dell’età cronologica e del repertorio lessicale.

Recentemente le stesse autrici hanno analizzato il ruolo predittivo dei gesti sul successivo sviluppo lessicale, in un gruppo di 17 bambini con SD di EC media di 36 mesi (Zampini e D’Odorico, 2009). Nello studio, i gesti prodotti spontaneamente dai bambini durante il gioco con la madre, sono stati messi in relazione con il repertorio lessicale (in comprensione e in produzione) ricavato attraverso il PVB, a 42 e 48 mesi. E’ emersa una correlazione significativa tra la produzione di gesti (deittici, iconici e convenzionali) a 36 mesi e l’ampiezza del vocabolario a 42 e tra la produzione dei gesti deittici e produzione lessicale a 48 mesi. Questa relazione è apparsa, inoltre, mediata dalla comprensione lessicale dei bambini a 36 mesi.

I lavori fin qui citati hanno indagato l’uso dei gesti in contesti naturali e familiari, attraverso il resoconto dei genitori (PVB) oppure con l’osservazione diretta.

Recentemente sono stati condotti alcuni studi sulla produzione di gesti rappresentativi in bambini con SD durante un compito strutturato di denominazione di figure (Stefanini, Caselli e Volterra, 2007; Stefanini et al., 2008). La prova prevede l’uso di fotografie a colori plastificate suddivise in due liste: nomi (parti del corpo, animali, oggetti, cibi, vestiario e persone) e predicati (azioni, aggettivi e avverbi locativi). I gruppi di controllo erano formati da bambini con ST di pari EC (media 73 mesi), pari EM (media 41 mesi) e di pari abilità lessicale (AL, numero di risposte corrette alla prova di denominazione). I risultati di questo studio sono molto ricchi, dati i numerosi gruppi di controllo. In particolare è emerso che, sebbene i bambini con SD non utilizzino più frequentemente i gesti rispetto ai gruppi di pari EM e AL, producano però un maggior numero di gesti da soli, laddove gli altri gruppi utilizzano i gesti in accompagnamento alla risposta verbale. Inoltre, mentre i bambini con ST utilizzano in proporzione maggiore i gesti deittici, i bambini con SD producono in egual misura deittici e rappresentativi. Infine risulta degno di attenzione il fatto che la proporzione di gesti rappresentativi sia più alta nei bambini con SD, segno che questo tipo di gesti siano utilizzati da questi bambini per esprimere i significati che non riescono ancora ad esprimere verbalmente, ma che possiedono concettualmente.

Come riportato dagli studi sui bambini con disturbo specifico di linguaggio, i gesti possono, anche nel caso dei bambini con SD, compensare così il divario tra competenze cognitive e verbali (Capone e Mc Gregor, 2004; Thal e Tobias, 1992).

In conclusione possiamo affermare che, nonostante i numerosi studi sulla sindrome di Down, alcune questioni rimangono ancora oggi aperte.

Prima tra tutte i rapporti tra comprensione e produzione lessicale da un lato, e il ritardo specifico nella produzione verbale rispetto allo sviluppo cognitivo dall’altro. Come abbiamo visto, infatti, i pochissimi studi sulla comprensione in bambini di età prescolare suggeriscono che questa competenza sia più avanzata rispetto alla produzione e più coerente con l’EM.

Il nostro interesse pertanto, si concentrerà sulla comprensione lessicale e sui suoi rapporti con la produzione lessicale in un gruppo di bambini con SD, di EM media di 28 mesi.

Le competenze lessicali di questi bambini saranno valutate attraverso uno strumento di osservazione indiretto (un questionario per i genitori) e attraverso un test lessicale, somministrato ai bambini. In questo modo vogliamo indagare la comprensione e la produzione lessicale sugli stessi bambini in un contesto naturale, la famiglia, e in uno strutturato, il test. La produzione, lessicale e verbale, sarà inoltre valutata su campioni di linguaggio spontaneo, prodotto dai bambini durante il gioco con le madri. In questo modo, differentemente dagli studi citati, potremo disporre di più misure linguistiche, tra loro confrontabili, ottenute attraverso metodologie e contesti diversi.

L’altra questione su cui concentreremo la nostra attenzione riguarda l’uso dei gesti in questa popolazione di bambini. Anche in questo caso, gli studi non sono concordi nel riportare in vantaggio gestuale nella sindrome di Down, anche a causa delle diverse metodologie utilizzate. Indagheremo, pertanto, la produzione di gesti comunicativi nel contesto naturale, sia attraverso il questionario che attraverso l’osservazione diretta dell’interazione madre-bambino. Inoltre valuteremo l’uso spontaneo di gesti rappresentativi in un compito di comprensione e denominazione lessicale.

Estratto dalla tesi di Dottorato della Dott.ssa Recchia “Tra il fare e il dire: azioni, gesti e parole nell’interazione madre-bambino con sindrome di Down”.